Un rosario che avevo preso a Medjugorje, ci ha uniti.

Un rosario che avevo preso a Medjugorje ci ha uniti.

Un rosario che avevo preso a Medjugorje ci ha uniti.

 

Così perdonò l’assassino di mio marito

EMPOLI. Che cos’è il perdono, quale valore profondo ha?

Claudia F. è la vedova dell’appuntato Antonio S., ucciso da un giovane al quale aveva contestato la guida in stato di ebbrezza.

La donna è venuta nella terra dove è nato e vissuto il ragazzo, Matteo G. di Cerreto Guidi, che ha ammazzato suo marito. Sul palco del cinema Mignon di Montelupo, accanto a lei, al convegno della Caritas, ci doveva essere anche la madre di quel ragazzo, Irene S., a testimonianza di un percorso di riconciliazione che le due donne stanno portando avanti.

Irene alla fine non è intervenuta, perché debilitata dall’influenza; ma dalle parole di Claudia F. si è percepita l’indissolubilità del legame che ha stretto le due donne. Che cos’è il perdono? “Mi comporto così – dice la vedova del carabiniere assassinato in Maremma – per dare un’altra possibilità a Matteo. Perché la morte di un uomo serva a qualcosa”.

È per questo, a breve, Irene e Claudia costituiranno un’associazione fondata su questo loro comune sentire.

 

Un rosario che avevo preso a Medjugorje ci ha uniti.

 

Quello che, in generale, è conosciuto come il “massacro di Sorano” avvenne il 25 aprile di tre anni fa. Matteo G. era in auto con tre amici (tutti minorenni all’epoca dei fatti) e stavano andando a un rave party.

Prima di arrivarci furono fermati da due carabinieri, Antonio S. e Domenico M. È da qui che partì il massacro: Santarelli, preso a bastonate in testa, è rimasto in coma per oltre un anno e poi è morto. Marino, invece, è rimasto senza un occhio.

Gorelli è stato condannato prima all’ergastolo in primo grado e poi in appello a venti anni. Per gli altri “Avevo bisogno di vedere quelle mani che avevano ucciso mio marito – ha continuato – e gli misi in mano un rosario che avevo preso a Medjugorje, è stato questo che ci ha uniti. Ora lui lo porta con sé”.

“Per me il 25 aprile rappresenta l’anno zero – ha iniziato la sua testimonianza Claudia F. parlando a braccio e non nascondendo le lacrime – prima eravamo una famiglia normale che interessava a pochi, con i nostri alti e bassi e con un figlio di 13 anni molto legato al padre”.

Poi l’abisso: “Quando Antonio era in ospedale – ha continuato – ho sperato nel miracolo e non volevo parlare neppure con i medici”. Poi il coma vegetativo e la morte.

“Una volta Matteo si girò verso di me, iniziò a piangere e si accasciò su sè stesso. Sua madre Irene mi scrisse una lettera chiedendomi scusa e ci siamo incontrate. Poi venne a trovare Antonio.

Ho iniziato a pregare per quel ragazzo”. E ricorda un fatto particolare: “Quando gli dettero l’ergastolo a me venne da vomitare e da piangere .

Lui, invece, mi sorrise perché, come mi spiegò dopo, riteneva giusta questa pena. Si erano ribaltati i piani”.

Tra i due ci fu l’incontro a Milano, era il 28 gennaio 2013. “Chiesi a don Mazzi – ha raccontato – di rimanere con noi perché avevo paura di avere una reazione violenta. Invece non ce ne fu bisogno, abbiamo pianto insieme e ci siamo abbracciati”.

 

Un rosario che avevo preso a Medjugorje ci ha uniti.

 

Claudia è stata criticata per la scelta di perdonare Matteo G.; la sua famiglia non l’ha seguita.

«La madre di mio marito non condivide questo percorso – ha detto – così anche mio figlio mi dice “io non riesco mamma, non posso prendere questo treno (lo chiama così) ma mi fido di te”.

«Io non mi vergogno e non sono pazza. È una strada difficile e qualcuno mi ha detto anche che faccio questo per andare in televisione. Invece io penso che per essere cristiani dobbiamo anche metterlo in pratica».

«E non penso – conclude – che Dio mi abbia punito, con il dolore ci si apre e io devo mettere a frutto la morte di mio marito cercando di recuperare questo ragazzo». 

 

Un rosario che avevo preso a Medjugorje ci ha uniti.

 

Fonte: web

 

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